Davanti alle macerie

Mai come davanti alla guerra tutti i pensieri, tutte le interpretazioni politiche o psicologiche, tutti i propositi più o meno buoni risultano nella loro evidente fragilità, persino nella loro grottesca inadeguatezza. Nessuna predica, dunque, nessuna lamentosa litania in difesa della democrazia sotto attacco né elucubrazioni geopolitiche, non intendo muovere piccoli carri armati e aerei immaginari su una mappa dell’Ucraina per giocare a Risiko. Tuttavia proprio l’orrore richiede un appello alla ragione e la ferma decisione di continuare a voler capire anche di fronte alle innumerevoli tragedie individuali, non per farle sparire sotto concetti astratti, ma proprio per vendicare le lacrime inascoltate, i dolori silenziosi che non hanno avuto il privilegio di un articolo su The Guardian o su Der Spiegel. Solo alcune brevi riflessioni per provare a inquadrare quanto sta avvenendo (un evento ancora in evoluzione e dall’esito per il momento incerto) da un punto di vista diverso.

Qualunque sia lo sviluppo del conflitto armato attualmente in corso, si tratta di un evento che avrà conseguenze storiche enormi. Una delle grandi potenze del pianeta non può impegnarsi in un’invasione come quella dell’Ucraina senza sbilanciare profondamente gli equilibri internazionali e senza mettere in moto meccanismi i cui risultati non saranno facilmente prevedibili per nessuna delle parti in gioco. Che questa guerra – il governo e i media russi si ostinano tutt’ora a chiamarla “operazione speciale” – costituisca un passo assai rischioso verso l’ignoto, è stato dimostrato dal fatto che buona parte della stessa popolazione russa si è apertamente pronunciata contro di essa. Vladimir Putin si è fatto carico di una responsabilità molto pesante scommettendo la reputazione e il sangue della sua nazione in un’intrapresa del genere. I suoi sostenitori affermeranno che la Russia è stata messa con le spalle al muro dall’espansione della Nato – il che è al di là di ogni dubbio – ma ciò nonostante le vie diplomatiche per la risoluzione della questione ucraina non erano ancora chiuse al momento dell’inizio dell’invasione. Ora, è assolutamente necessario mettere preliminarmente da parte ogni stupidaggine bellicista secondo cui la guerra sarebbe qui la scelta dei veri uomini, quella che troncherebbe le chiacchiere inconcludenti della politica mettendo senza tanti scrupoli il mondo di fronte alla forza mitologica della “decisione”, dell’azione “concreta”. L’idea che la guerra sia un campo in cui si mettano in gioco le capacità più alte dell’essere umano, l’audacia, l’intuito, le capacità strategiche, la perseveranza, ecc… è una forma di cretinismo reazionario di cui dobbiamo sbarazzarci. Persino Nietzsche, che pure vedeva pienamente la limitatezza dei nazionalismi e delle retoriche etno-razziste, credeva ancora in una guerra futura come mezzo per la ri-virilizzazione dell’Europa. Noi, che conosciamo i metodi e i risultati delle due guerre mondiali, sappiamo ormai che le procedure belliche sono dominate da calcoli impersonali, da una mentalità quasi industriale in cui la vita umana è una risorsa come il petrolio o l’acciaio, e sono condotte con mezzi che eliminano in buona parte la rilevanza della forza fisica o della resistenza mentale. Con ciò non voglio certo negare che il coraggio abbia ancora un ruolo importante in questi conflitti, ma lo si dimostra in modi ben diversi da quelli di un tempo. I semplici cittadini ucraini che, disarmati, si mettono in mezzo alle strade per fermare i convogli russi o che avvicinano i soldati nemici per prenderli in giro sono forse più coraggiosi delle truppe professioniste.

Che in Italia come all’estero molte formazioni politiche, ufficiali e non, di estrema sinistra si siano schierate apertamente per la Russia e per Putin è un segno rivelatore della totale confusione che regna nel mondo della politica. Noi dobbiamo avere ben chiare due cose: chi è Putin e quali sono i motivi reali per cui sta compiendo questa invasione. Il secondo punto può essere ancora oggetto di dibattiti, ma il primo è chiarissimo e non lascia spazio a fraintendimenti: si tratta di un leader autoritario di estrema destra, che giustifica le sue azioni su basi prettamente nazionalistiche ed etno-centriche. Che un uomo del genere possa essere dipinto come una vittima dell’imperialismo americano e come la guida di una lotta giustificata contro una monarchia universale, sarebbe comico se non fosse un’opinione sostenuta davanti al sangue di gente morta ammazzata. Così, molti comunisti, marxisti e iper-socialisti pur di combattere la Nato si schierano con Putin non diversamente da come certi liberali tedeschi dell’Ottocento, pur di fare uno sgarbo ai conservatori, si consegnavano dritti dritti nelle braccia dello zar, o come quel personaggio dell’Educazione sentimentale di Flaubert, Sénécal, che comincia come repubblicano radicale e finisce come bonapartista nella guardia nazionale a baionettare gli operai in rivolta. Personalmente, non nutro alcuna simpatia per gli Stati Uniti o per la Nato, ma ciò non significa che mi piaccia l’idea di combattere un imperialismo con un altro. Qui sta appunto uno dei problemi più difficili da capire per la maggior parte delle persone, che sono perlopiù impegnate a individuare chi sono i “buoni” e chi i “cattivi”: una critica serrata e rigorosa alla situazione economica e politica che ha portato ad un esito così tragico non può non partire dalla decostruzione della contrapposizione tra Nato e Russia come lotta di imperialismi, cioè come lotta di interessi oligarchici dis-umani e che prescindono per definizione dal rispetto della dignità umana e dello ius gentium. Già la storia dell’Unione Sovietica poteva rivelare facilmente come dietro la facciata dell’opposizione ideologica all’Occidente capitalista ci fosse, di fatto, la lotta di un potentato mondiale, quello gravitante attorno alla Russia, contro gli Stati Uniti, e che questa lotta avesse ben poco di “ideologico”, perlomeno nel senso superficiale in cui di solito si intende questo termine. Una possibile soluzione al conflitto russo-ucraino e, per estensione, al più ampio conflitto tra Russia e Nato, potrà provenire solo dall’elaborazione di un’alternativa politica a questa dicotomia manichea e apparentemente ineludibile – da una parte la democrazia e dall’altra la dittatura, o in qualunque altro modo la si voglia dipingere. Un fattore fondamentale nella costruzione di questa terza via, di una possibile “uscita” da questo stallo, dovrà essere la rimozione di Putin e, cosa ancor più importante, un cambiamento radicale nell’assetto istituzionale e politico della Russia, la trasformazione della Russia in una vera repubblica, e non in una sorta di mezza democrazia consumistica o il suo ritorno a qualche nuova dittatura di partito. Che ciò possa effettivamente accadere dipende in modo decisivo dallo sviluppo della guerra ucraina.

La stragrande maggioranza degli europei è schierata per l’Ucraina contro la Russia e chiede a gran voce la pace. A seconda di come si evolverà la guerra, un accordo di pace potrebbe portare a situazioni ancora peggiori. Noi viviamo in un’epoca in cui le strutture tradizionali della società e del diritto si stanno dissolvendo e stanno assumendo nuove configurazioni. Uno degli istituti più antichi dell’umanità è proprio lo stato di guerra, che rappresentava una condizione ben determinata, delimitata da rituali e regole. Oggi, molto spesso, la pace è solo la prosecuzione della guerra con altri mezzi. Una pace mantenuta artificialmente può caricarsi di tali squilibri, di così grandi tensioni e contraddizioni, di così innumerevoli ingiustizie, che essa può infliggere alla popolazione un trattamento non molto diverso da quello cui era soggetta in guerra. Una guerra vittoriosa per l’Ucraina sarebbe forse una vittoria per il nazionalismo ucraino, e lo spirito di sacrificio e di solidarietà potrebbe presto diventare il pretesto per aggravare le ferite della guerra e non per sanarle. Dobbiamo pur sempre ricordare che in questo momento si stanno combattendo due popoli fratelli: la guerra in Ucraina è una forma assai speciale di guerra civile, anche se combattuta tra due stati diversi.

Il mio pieno supporto e la mia più totale solidarietà vanno non solo alla popolazione ucraina, alla gente comune che ha perso la propria casa, i propri familiari, la propria vita, che ha dovuto abbandonare tutto per fuggire in terra straniera o per combattere senza aver mai imbracciato un’arma prima d’ora, ma anche a tutti quei russi, e sono molti, che hanno contestato la guerra e che non si riconoscono nel loro governo: so per certo che allo studente squattrinato di San Pietroburgo, alla cassiera di supermercato di Smolensk o allo scaricatore di porto di Vladivostok, che l’Ucraina entri nella Nato o meno non importa nulla. Purtroppo sono loro a pagare per i loro governanti.

Per chi volesse fare un gesto concreto in favore delle vittime della guerra, indipendentemente dalle proprie convinzioni politiche, segnalo il sito della Croce Rossa, la quale ha sempre bisogno di fondi per fornire generi di prima necessità e medicinali a coloro che sono stati colpiti dal conflitto.
https://www.ifrc.org/emergency/ukraine-and-impacted-countries

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