
Looking Back on the Spanish War fu composto nell’autunno del 1942 e alcune parti di esso furono pubblicate nel 1943 sul settimanale New Road, in piena Seconda Guerra Mondiale. Ne presento qui una mia traduzione, che si limita ai capitoli I, II, IV (eccezion fatta per la sezione finale) e V. Ci sono molti motivi per leggere gli scritti di Orwell, primo fra tutti la qualità della sua scrittura: a tutt’oggi egli è giustamente ritenuto il maestro dello English plain style, e la mia traduzione rende solo in maniera scolorata e imperfetta l’eleganza del suo stile. In secondo luogo, c’è anche la straordinaria indipendenza di giudizio di Orwell, ciò che lo rende forse uno degli autori più preziosi nel panorama del XX secolo, il coraggio con cui seppe criticare gli errori e le bassezze di tutte le formazioni politiche, e la lucidità con cui vide le implicazioni del totalitarismo, senza mai limitarsi ad essere un bastian contrario senza arte né parte: Orwell fu essenzialmente un autore anti-totalitario, ma ciò non significa che la sua prospettiva fosse puramente negativa: egli lottò per una posizione socialista democratica che articolò chiaramente in altri saggi e che si fondava su un fermo rifiuto del controllo e dell’oppressione della vita umana; indipendentemente dall’accordo o disaccordo che possono suscitare le sue tesi politiche, esse pongono delle questioni che nessuno può evitare, nessuno almeno che sia interessato a fare onestamente i conti con gli orrori del XX secolo. Il terzo motivo, quello che forse mi ha spinto a offrire questo saggio di traduzione, è anche il fatto che le considerazioni qui svolte da Orwell possono avere un nesso con l’attuale guerra in Ucraina, pur nella complessiva diversità della situazione storica. Nel polverone mediatico che si è creato intorno al conflitto russo-ucraino, alcune osservazioni fatte in questo scritto sono dolorosamente attuali. Il motivo per il quale non ho tradotto l’intero saggio è stato il voler evitare di appesantire troppo una singola lettura, magari anche dividendo la pubblicazione in due o tre post, ma di offrire l’essenziale, per così dire, in un sol colpo d’occhio. Ovviamente, incoraggio chiunque a leggere i saggi di Orwell, che trattano temi anche molto diversi e che sono tutti egualmente interessanti, e in particolare, per chi legge l’inglese, la lettura completa di questo saggio sulla guerra spagnola. Il testo a cui faccio riferimento, pubblicato nella sua forma attuale per la prima volta nel 1968 nei Collected essays di Orwell apparsi per Secker & Warburg, è pubblicato in: George Orwell, Essays, Penguin 2013 (prima ed. 2000), pp. 216-233. Tutto ciò che compare tra parentesi quadre è una mia nota.
Prima di tutto le memorie fisiche, il rumore, gli odori e le superfici delle cose.
E’ curioso che io ricordi più vividamente di tutto ciò che venne dopo nella guerra la settimana di cosiddetto addestramento che ricevemmo prima di essere spediti al fronte – le gigantesche caserme della cavalleria a Barcellona con le stalle piene di spifferi e i cortili lastricati, il freddo gelido della pompa dove ci si lavava, i pasti squallidi resi tollerabili da miseri bicchierini di vino, le miliziane in pantaloni che spaccavano legna da ardere, e la chiamata di mattina presto, dove il mio prosaico nome inglese era una sorta di intermezzo comico in mezzo agli altisonanti nomi spagnoli, Manuel Gonzalez, Pedro Aguilar, Ramon Fenellosa, Roque Ballaster, Jaime Domenech, Sebastian Viltron, Ramon Nuvo Bosch. Nomino questi uomini in particolare perché ricordo le facce di ciascuno di loro. Eccezion fatta per due di loro, che erano semplicemente dei furfanti e che di certo sono ora diventati bravi Falangisti, è probabile che tutti siano morti. Due di loro so per certo che sono morti. Il più vecchio avrebbe avuto circa venticinque anni, il più giovane sedici.
Una delle esperienze essenziali della guerra è l’impossibilità di sfuggire ad odori disgustosi di origine umana. Le latrine sono un argomento trito e ritrito nella letteratura di guerra, ed io non le menzionerei se non fosse che le latrine nella nostra caserma hanno fatto la loro minuscola, necessaria parte nello sgonfiare le mie illusioni sulla guerra civile spagnola. Il tipo latino di latrina, nella quale ti devi accucciare, è già abbastanza brutta al suo meglio, ma le nostre erano fatte con una specie di pietra levigata così scivolosa che stare sui tuoi piedi era l’unica cosa che potevi fare. In aggiunta, erano sempre intasate. Ho molte altre cose disgustose nella mia memoria, ma credo che siano state queste latrine a suscitare in me nella maniera più inequivocabile il pensiero, che mi sarebbe così spesso tornato in mente: “Eccoci qui, soldati di un esercito rivoluzionario, a difendere la democrazia contro il fascismo, a combattere una guerra che riguarda qualcosa di concreto, e i dettagli della nostre vite sono sordidi e degradanti quanto quelli di una prigione, per non dire di un esercito borghese”. Molte altre cose rafforzarono questa impressione più tardi; ad esempio, la noia e la fame animalesca della vita in trincea, i miserrimi intrighi per qualche brandello di cibo, i litigi maligni e pungenti a cui cedono persone esaurite dalla mancanza di sonno.
L’intimo orrore della vita sotto le armi (chiunque sia stato soldato saprà cosa intendo con questa espressione) è a malapena influenzato dalla natura del conflitto in cui ci si trova a combattere. La disciplina, ad esempio, è la stessa in tutti gli eserciti. Agli ordini si deve obbedire, e devono essere imposti anche per mezzo di punizioni se necessario, la relazione tra ufficiale e soldato deve essere quella di superiore e inferiore. L’immagine della guerra presentata in libri come Niente di nuovo sul fronte occidentale è in buona sostanza vera. Le pallottole fanno male, i cadaveri puzzano orribilmente, gli uomini sotto fuoco nemico spesso sono così terrorizzati da bagnarsi i pantaloni. E’ vero che il background sociale da cui un esercito emerge darà una certa coloritura al suo addestramento, alle tattiche, all’efficienza generale, e inoltre che la consapevolezza di essere nel giusto può innalzare il morale, anche se ciò condiziona più la popolazione civile che le truppe. (La gente si dimentica che un soldato che si trovi in un luogo qualunque nelle vicinanze del fronte è di solito troppo affamato, o spaventato, o infreddolito, o soprattutto troppo stanco per preoccuparsi delle origini politiche della guerra.) Ma le leggi della natura sono sospese per un’armata “rossa” tanto poco quanto per una “bianca”. Una pulce è una pulce e una bomba è una bomba, anche se le causa per la quale stai lottando si dà il caso che sia giusta.
Per quale motivo qualcosa di così ovvio merita di essere sottolineato? Perché il grosso dell’intellighenzia britannica e americana era chiaramente ignaro di ciò all’epoca, e lo è tutt’ora. Le nostre memorie sono corte oggigiorno, ma guardando un po’ più indietro, tirate fuori gli archivi di New Masses e del Daily Worker, e date giusto un’occhiata alla spazzatura guerrafondaia che i nostri esponenti di sinistra sputavano allora. Guardate a tutte le vecchie frasi ammuffite! E alla piatta, stupida insensibilità di tutto ciò! Il sangue freddo con cui Londra guardò ai bombardamenti di Madrid! Qui non mi sto occupando dei contro-propagandisti di destra, i Lunn, i Garvin et hoc genus; di loro non c’è bisogno di parlare. Ma in questi articoli c’erano le stesse persone che per vent’anni hanno fischiato e schernito la “gloria” della guerra, le storie di atrocità, il patriottismo e persino il coraggio fisico, venendosene fuori con della roba che, con la sostituzione di qualche nome, avrebbe potuto calzare a pennello il Daily Mail del 1918. Se c’era un punto per il quale gli intellettuali inglesi erano pienamente impegnati, era la versione sfatata e anti-eroica della guerra, la teoria per la quale la guerra è tutta cadaveri e latrine e non porta mai a nessun risultato apprezzabile. Ebbene, le stesse persone che nel 1933 sghignazzavano con commiserazione se dicevi che in determinate circostanze avresti combattuto per il tuo paese, nel 1937 ti avrebbero denunciato come un Trozkista-fascista se avessi osato affermare che le storie di New Masses su soldati appena feriti che scalpitavano per tornare a combattere potevano essere esagerate. E gli intellettuali di sinistra hanno compiuto la loro svolta da “La guerra è l’inferno” a “La guerra è gloriosa” non solo senza qualsivoglia senso di incoerenza ma senza quasi nessuno stadio intermedio. Più tardi la maggior parte di loro avrebbero compiuto altre transizioni altrettanto violente. Deve esserci un cospicuo numero di persone, una sorta di nucleo centrale della classe intellettuale, che approvò la dichiarazione “King and Country” nel 1935, tuonò per una linea dura contro la Germania nel 1937, sostenne la “People’s Convention” nel 1940, ed ora esigono un secondo fronte. [La dichiarazione “King and Country” fu una dichiarazione pubblica delle associazioni studentesche dell’università di Oxford in cui si affermava che nessuno dei promotori avrebbe combattuto in una guerra futura per il Re e la Patria – secondo la famosa formula militare “For King and Country” ; fu una risoluzione che ebbe grande risonanza, soprattutto tra gli universitari, e che causò grandi polemiche e persino accuse di tradimento. La People’s Convention fu un movimento popolare organizzato nel 1940 dal Partito Comunista Inglese per persuadere i Laburisti e i sindacati ad abbandonare il governo in carica, ritenuto responsabile di aver causato la guerra per meri scopi economici, e di voler segretamente combattere l’Unione Sovietica; l’URSS e la Germania nazista erano all’epoca ancora formalmente in rapporti amichevoli. Questo movimento fu sconfessato pubblicamente dai comunisti inglesi nel 1942, dopo che la Germania invase la Russia.]
Per quanto riguarda le masse, le oscillazioni anormali di opinione che oggi si verificano, le emozioni che possono essere accese e spente come un interruttore, sono il risultato dell’ipnosi di giornali e radio. Negli intellettuali sarebbe meglio dire che sono il risultato del denaro e della mera sicurezza personale. In un qualunque momento possono essere pro o contro la guerra, ma in nessuno dei due casi hanno nella loro mente un’immagine realistica della situazione. Quando si sono entusiasmati per la guerra civile spagnola sapevano, ovviamente, che delle persone venivano uccise e che essere uccisi è una cosa spiacevole, ma credevano in cuor loro che per un soldato nell’esercito della Repubblica spagnola l’esperienza della guerra era in qualche modo non degradante. Chissà come le latrine puzzavano meno, la disciplina era meno opprimente. Basta dare un’occhiata al New Statesman per rendersi conto che essi credevano proprio questo; baggianate del tutto simili vengono scritte sull’Armata Rossa in questo momento. Siamo divenuti troppo civilizzati per afferrare l’ovvio. Perché la verità è molto semplice. Per sopravvivere spesso devi combattere, e per combattere devi sporcarti le mani. La guerra è un male, ed è spesso il male minore. Coloro che impugnano la spada, muoiono di spada, e coloro che non impugnano la spada muoiono di malattie puzzolenti. Il fatto che valga la pena di mettere per iscritto una simile banalità dimostra cosa ci hanno fatto anni di rentier capitalism.
In connessione con quanto ho appena detto, una nota a margine sulle atrocità.
Sono in possesso di poche prove dirette riguardanti le atrocità commesse nella guerra civile spagnola. So che alcune sono state commesse dai repubblicani, e molte di più (e stanno ancora continuando) dai fascisti. Ma ciò che mi fece impressione all’epoca, e ha continuato a farmi impressione da allora, è che alle atrocità si crede o meno unicamente sulla base della predilezione politica. Tutti credono alle atrocità del nemico e non credono in quelle della propria parte, senza nemmeno preoccuparsi di esaminare le prove. Di recente ho abbozzato un quadro delle atrocità avvenute tra il 1918 e oggi; non c’è anno in cui le atrocità non avvenissero da una parte o dall’altra, e non c’è nemmeno un caso in cui la sinistra e la destra hanno dato credito alle stesse storie contemporaneamente. E, ancora più strano, in qualunque momento la situazione può improvvisamente ribaltarsi e l’atrocità dimostrata per certa al cento per cento di ieri può diventare una ridicola menzogna oggi, semplicemente perché il panorama politico è cambiato.
Nella guerra attuale ci troviamo nella curiosa situazione per cui la nostra “campagna d’informazione sulle atrocità” è stata effettuata in buona parte prima dell’inizio della guerra, ed è stata promossa perlopiù dalla sinistra, la gente che normalmente si vanta della propria incredulità. Nello stesso periodo la destra, gli strombazzatori di atrocità del ’14-18, guardavano alla Germania nazista e si rifiutavano decisamente di vederci dentro alcunché di male. Poi non appena la guerra è scoppiata sono stati i filo-nazisti di ieri a mettersi a ripetere storie dell’orrore, mentre gli anti-nazisti, di colpo, si sono trovati a dubitare persino della reale esistenza della Gestapo. E ciò non è stato unicamente un risultato del patto russo-tedesco. In parte fu perché prima della guerra la sinistra aveva erroneamente creduto che la Gran Bretagna e la Germania non sarebbero mai giunte al conflitto ed era perciò capace di essere simultaneamente anti-tedesca e anti-britannica; in parte anche perché la propaganda ufficiale di guerra, con la sua disgustosa ipocrisia e presunzione, tende sempre a rendere le persone abituate a pensare simpatizzanti del nemico. Parte del prezzo che abbiamo pagato per le menzogne sistematicamente promosse del 1914-18 fu l’esagerata reazione filo-tedesca che le seguì. Durante gli anni 1918-1933 si veniva fischiati nei circoli di sinistra se si suggeriva che la Germania aveva avuto anche solo una parte di responsabilità nella guerra. In tutte le denunce di Versailles che ho sentito nel corso di quegli anni non credo di aver udito nemmeno una volta proporre – né tanto meno discutere – la domanda: “Cosa sarebbe successo se la Germania avesse vinto?”. E così anche con le atrocità. La verità, pare, diventa falsità quando la pronuncia il tuo nemico. Di recente ho notato che quelle stesse persone che hanno digerito ogni tipo di storia dell’orrore sui giapponesi a Nanchino nel 1937 hanno rifiutato di credere alle medesime storie riguardo Hong Kong nel 1942. C’era persino la tendenza a ritenere che le atrocità di Nanchino erano diventate, per così dire retrospettivamente, false perché adesso il governo britannico aveva attirato l’attenzione del pubblico su di esse.
Sfortunatamente, però, la verità sulle atrocità è di gran lunga peggiore delle bugie che vi si costruiscono sopra e che vengono trasformate in propaganda. La verità è che le atrocità avvengono. Il fatto che viene spesso addotto come motivo di scetticismo – che le stesse storie d’orrore vengono fuori in tutte le guerre, una dopo l’altra – rende semplicemente più probabile che queste storie siano vere. Evidentemente si tratta di fantasie diffuse, e la guerra fornisce l’opportunità per metterle in pratica. Inoltre, sebbene non sia più di moda dirlo, non ci sono molti dubbi sul fatto che coloro che vengono chiamati “bianchi” commettono atrocità di gran lunga più numerose e più crudeli dei “rossi”. Non c’è il minimo dubbio, ad esempio, sul comportamento dei giapponesi in Cina. Né ci sono molti dubbi sulla lunga saga di oltraggi fascisti negli ultimi dieci anni in Europa. Il volume delle testimonianze è enorme, e una fetta considerevole di esse proviene dalla stampa e dalla radio tedesche. Queste cose sono successe davvero, questa è la cosa su cui fissare il proprio sguardo. Sono successe anche se Lord Halifax dice che sono successe. Gli stupri e gli squartamenti nelle città cinesi, le torture nei sotterranei della Gestapo, gli anziani professori ebrei scaraventati nelle fogne, il mitragliamento di rifugiati lungo le strade spagnole – tutte queste cose sono successe, e non sono meno reali solo perché il Daily Telegraph le ha improvvisamente scoperte con cinque anni di ritardo.
La lotta per il potere tra i partiti della Repubblica spagnola è una cosa infelice e remota che non ho alcun desiderio di ricordare ad oggi. La menziono solo per dire: non credete a nulla, o quasi, di quello che leggete riguardo affari interni scritto dalla parte della Repubblica. Da qualunque fonte provenga, è tutta propaganda di partito – ovverosia, menzogne. La verità generale sulla guerra è abbastanza semplice. La borghesia spagnola ha intravisto l’opportunità di distruggere il movimento operaio, e ne ha approfittato, aiutata dai nazisti e dalle forze reazionarie di tutto il mondo. Non credo che molto più di questo potrà mai essere accertato.
Ricordo di aver detto una volta ad Arthur Koestler: “La storia si è fermata nel 1936”, al che lui annuì, comprendendo immediatamente cosa intendevo. Entrambi pensavamo al totalitarismo in generale, ma più in particolare alla guerra civile spagnola. Già in una fase precoce della mia vita avevo notato che nessun evento è mai correttamente riportato in un giornale, ma in Spagna, per la prima volta, ho visto reportages giornalistici che non presentavano alcuna relazione con i fatti, nemmeno la relazione che è implicita in un’ordinaria bugia. Ho letto che venivano riportate grandi battaglie dove non c’era stato alcun combattimento, e il più completo silenzio dove centinaia di uomini erano stati uccisi. Ho visto truppe che avevano combattuto coraggiosamente denunciate come codarde e traditrici, e altre che non avevano mai visto sparare un colpo elogiate come gli eroi di vittorie immaginarie, e ho visto giornali londinesi ristampare quelle menzogne e intellettuali entusiasti costruire sovrastrutture emotive sopra eventi che non erano mai avvenuti. Ho visto, di fatto, la storia mentre veniva scritta non in termini di ciò che era realmente accaduto ma di ciò che sarebbe dovuto accadere secondo varie linee di partito. Eppure in certo qual modo, per orribile che fosse tutto ciò, non era importante. Ha riguardato problemi secondari – nello specifico, la lotta per il potere tra il Comintern e i partiti di sinistra spagnoli, e gli sforzi del governo russo per impedire una rivoluzione in Spagna. Ma l’immagine complessiva della guerra che il governo spagnolo ha presentato al mondo non era del tutto falsa. I problemi principali erano davvero quelli che il governo disse essere tali. Ma per quanto riguarda i fascisti e i loro sostenitori, come avrebbero potuto mai avvicinarsi alla verità fino a quel punto? Come avrebbero mai potuto enunciare i loro veri scopi? La loro versione della guerra era pura fantasia, e in quelle circostanze non avrebbe potuto essere altrimenti.
L’unica linea di propaganda aperta ai nazisti e ai fascisti era di rappresentare sé stessi come patrioti cristiani che stavano salvando la Spagna da una dittatura russa. Ciò implicò far finta che la vita nella Spagna della Seconda Repubblica era nient’altro che una serie ininterrotta di massacri (vedi il Catholic Herald o il Daily Mail – ma questi erano giochi da ragazzini a confronto con la stampa fascista continentale), e implicò esagerare enormemente la scala dell’intervento russo. Dalla colossale piramide di bugie messa in piedi dalla la stampa cattolica e reazionaria di tutto il mondo, mi si permetta di prendere in considerazione solo un punto – la presenza in Spagna di un esercito russo. I partigiani più devoti di Franco lo credevano tutti: le stime sulla sua forza effettiva arrivavano a mezzo milione. Ora, non c’era nessun esercito russo in Spagna. Ci potranno essere stati alcuni aviatori e altri tecnici specializzati, poche centinaia al massimo, ma un esercito non c’era. Alcune migliaia di stranieri che combatterono in Spagna, per non dire milioni di spagnoli, furono testimoni di questo. Ebbene, la loro testimonianza non fece la minima impressione a nessuno dei propagandisti di Franco, non uno dei quali aveva messo piede nella Spagna repubblicana. Contemporaneamente queste persone rifiutavano completamente di ammettere il fatto dell’intervento tedesco o italiano, nello stesso momento in cui la stampa tedesca e italiana si vantava apertamente delle imprese dei loro “legionari”. Ho scelto di menzionare solo un punto, ma di fatto l’intera propaganda fascista sulla guerra era di questo livello.
Questo genere di cose sono per me spaventose, perché spesso mi danno l’impressione che il concetto stesso di una verità oggettiva stia scomparendo dal mondo. Dopo tutto, c’è la possibilità che quelle menzogne, o in ogni caso menzogne analoghe, passino nei libri di storia. Come verrà scritta la storia della guerra in Spagna? Se Franco rimane al potere i suoi funzionari scriveranno i libri di storia e (per rimanere all’esempio che ho scelto) quell’esercito russo che non è mai esistito diventerà un fatto storico, e i bambini a scuola lo impareranno come tale per generazioni. Ma supponiamo che il fascismo venga infine sconfitto e che un qualche tipo di governo democratico venga restaurato in Spagna in un futuro più o meno prossimo; anche allora, come dovrà essere scritta la storia della guerra? Che genere di cronache lascerà Franco dietro di sé? Supponiamo anche che gli archivi tenuti dalla Repubblica siano recuperabili – anche così, come dovrà essere scritta una storia veritiera della guerra? Poiché, come ho già osservato, anche il governo repubblicano ha promosso in larga misure menzogne. Da un punto di vista anti-fascista si potrebbe scrivere una storia della guerra vera in linea di massima, ma sarebbe una narrazione partigiana, inaffidabile su ogni punto di dettaglio. Eppure, dopo tutto, un qualche tipo di storia verrà scritta, e dopo che coloro che ricordano effettivamente la guerra saranno morti, sarà universalmente accettata. Quindi, in pratica, la menzogna sarà diventata verità.
So che va di moda dire che la maggior parte delle cronache storiche sono comunque menzogne. Sono disposto a credere che il grosso della storia tramandata è imprecisa e gravata da pregiudizi, ma ciò che è peculiare della nostra epoca è l’abbandono dell’idea che la storia possa essere scritta in maniera veritiera. In passato la gente mentiva di proposito, o dava inconsapevolmente un certo colore a ciò che scriveva, o si sforzava di rendere la verità ben sapendo che avrebbe commesso molti errori; ma in ciascuno di questi casi credeva che i “fatti” esistessero e che fossero più o meno suscettibili di essere scoperti. E in pratica c’era un considerevole corpo di fatti sui quali quasi tutti sarebbero stati d’accordo. Se si guarda alla storia dell’ultima guerra [la Prima Guerra Mondiale] nell’Enciclopedia Britannica, per esempio, si troverà che una quantità ragguardevole del materiale è tratto da fonti tedesche. Uno storico britannico e uno tedesco la penseranno in maniera profondamente diversa su molte cose, persino sui fondamentali, ma ci sarebbe ancora un nocciolo di, per così dire, fatti neutrali sui quali nessuno dei due metterebbe in discussione l’altro. E’ proprio questa base comune di reciproco accordo, con la sua implicazione che gli esseri umani sono tutti parte di un’unica specie animale, che il totalitarismo distrugge. La teoria nazista nello specifico nega appunto che una cosa come “la verità” esista. Non c’è, per esempio, “la scienza”. Ci sono solo “la scienza tedesca”, “la scienza ebraica”, ecc… L’obbiettivo implicito di questa linea di ragionamento è un mondo da incubo in cui il Leader, o qualche oligarchia al potere, controllano non solo il futuro ma il passato. Se il Leader dice di un tale o tal’altro evento “Non è mai successo” – beh, allora non è mai successo. Se dice che due e due fanno cinque – beh, due e due fanno cinque. Questa prospettiva mi spaventa molto più delle bombe – e dopo le esperienze degli ultimi cinque anni non è un’affermazione superficiale.
La spina dorsale della resistenza contro Franco fu la classe operaia spagnola, in particolare i membri dei sindacati di città. Nel lungo termine – ed è importante ricordare che lo è solo nel lungo termine – la classe operaia rimane il nemico più sicuro del fascismo, semplicemente perché la classe operaia è quella che guadagnerebbe di più da una ricostituzione dignitosa della società. Diversamente da altre classi o categorie sociali, non può essere permanentemente corrotta.
Dire questo non significa idealizzare la classe operaia. Nella lunga lotta che ha fatto seguito alla Rivoluzione russa sono i lavoratori manuali quelli che sono stati sconfitti, ed è impossibile non percepire come sia stata colpa loro. Di volta in volta, in un paese dopo l’altro, i movimenti operai organizzati sono stati spazzati via dalla violenza pubblica e illegale, e i loro compagni all’estero, teoricamente legati a loro da solidarietà di classe, hanno semplicemente guardato dall’altra parte senza fare nulla; e al di sotto di tutto ciò, causa segreta di molti tradimenti, vi era il fatto che tra lavoratori bianchi e di colore non c’è stata nemmeno solidarietà a parole. Chi può davvero credere nella coscienza di classe del proletariato internazionale dopo gli eventi degli ultimi dieci anni? Per la classe operaia inglese il massacro dei loro compagni a Vienna, Berlino, Madrid, o ovunque possa essere avvenuto, è sembrato meno interessante della partita di calcio di ieri. Ciò non toglie il fatto che la classe operaia continuerà a resistere al fascismo dopo che tutti gli altri avranno ceduto. Un elemento caratteristico della conquista nazista della Francia furono le stupefacenti defezioni all’interno degli intellettuali, inclusi alcuni dell’intellighenzia politica di sinistra. Gli intellettuali sono le persone che abbaiano più forte di tutti contro il fascismo, e ciò nonostante una quantità proporzionalmente rilevante di loro crollano nel disfattismo quando arrivano i guai. Sono abbastanza lungimiranti da vedere le probabilità contro di loro, e oltre a ciò possono essere comprati – poiché è evidente che i nazisti ritengono importante corrompere gli intellettuali. Con la classe operaia è l’inverso. Troppo ignoranti per accorgersi del trucco che viene fatto a loro danno, digeriscono facilmente le promesse del fascismo, ma prima o dopo riprendono la lotta contro di esso. Devono farlo, perché sulla loro stessa pelle essi scoprono sempre che le promesse del fascismo non possono essere realizzate. Per guadagnarsi permanentemente il favore della classe operaia, i fascisti dovrebbero innalzare il livello generale di benessere economico, cosa che non possono e probabilmente non vogliono fare. La lotta della classe operaia è come la crescita di una pianta. La pianta è cieca e stupida, ma sente abbastanza da continuare a spingere in alto verso la luce, e farà così anche davanti a incalcolabili motivi di scoraggiamento. Per che cosa combattono gli operai? Semplicemente per la vita dignitosa della cui possibilità tecnica sono sempre più consapevoli. La loro coscienza di questo obbiettivo ondeggia e cambia. In Spagna, per un po’, la gente agiva consapevolmente, muovendosi verso uno scopo preciso che voleva raggiungere e che credeva di poter raggiungere. Ciò spiegò l’atmosfera curiosamente gioiosa che c’era nella Spagna repubblicana nei primi mesi della guerra. Le persone comuni erano visceralmente consapevoli del fatto che la Repubblica era il loro amico e Franco il loro nemico. Sapevano di essere nel giusto, perché combattevano per qualcosa che il mondo doveva e poteva dare.
Bisogna ricordare tutto ciò per vedere la guerra di Spagna nella sua giusta prospettiva. Quando si pensa alla crudeltà, allo squallore, alla futilità della guerra – e in questo caso specifico agli intrighi, alle persecuzioni, alle menzogne e ai fraintendimenti – c’è sempre la tentazione di dire: “Una parte è tanto cattiva quanto l’altra. Io rimango neutrale.” In pratica, tuttavia, non si può essere neutrali, e una cosa come una guerra in cui non fa nessuna differenza chi vince, non esiste. Quasi sempre, una parte si schiera più o meno per il progresso, e l’altra più o meno per la reazione. L’odio che la Repubblica Spagnola suscitò in milionari, duchi, cardinali, play-boy, piccoli imperialisti e quanti altri sarebbe di per sé sufficiente per mostrare quali fossero le carte in tavola. Fu essenzialmente una guerra di classe. Se fosse stata vinta, la causa della gente comune ovunque nel mondo ne sarebbe uscita rafforzata. Venne perduta, e i grandi redditieri ovunque nel mondo si sfregarono le mani. Questa fu la vera questione; tutto il resto fu schiuma sulla superficie.